Fleurs, giardini degli inerti ripensa il giardino come un’allegoria del rapporto tra uomo e ambiente, tra fine ed inutilità. Generato dagli scarti che ciclicamente vengono prodotti dagli alberi – veri e propri edifici monumentali – il giardino è un’apparizione temporanea cangiante, una “stanza” sottratta al sottobosco dove le foglie catturate a mezz’aria diventano una fragile copertura, un patto dunque tra la natura ed i suoi abitanti.
Il microambiente creato da un accessorio di cattura – la rete – principia la formazione di uno spazio che prende lezione dall’aderenza delle foglie alla terra. A fortificare questo equilibrio precario vengono invitate più specie vegetali a cucire il sottobosco abitabile. Il giardino sebbene prenda le forme da una trappola di caccia ne muta sensibilmente le finalità. Le proporzioni e le altezze consentono l’accesso esclusivamente a bambini o chi come loro sperimenta e conquista forme di accesso sempre mutevoli, in modo da allontanare sguardi già compromessi e stanchi. All’ombra della copertura ri-coperta da specie rampicanti si trova un giardino fossile realizzato con inerti reperiti in loco – lavici, marini o di recupero da macerie edili – sotto forma di dune o piccole montagne modellabili dai piccoli fruitori.
Questo paesaggio inerte, dove prototipare nuove interazioni tra l’ambiente e l’esercizio umano, invitano a ripensare le discipline ed i moventi che disegnano l’ambiente.
Più in generale, l’ombra generata da questo piccolo brano di paesaggio è un omaggio in forma di spazio al filosofo siciliano Rosario Assunto, che ha lungamente studiato e ridiscusso i rapporti tra utilità e fine del giardino, pensandolo prima di tutto come luogo, diverso dalla “natura”, allontanandolo dall’essere mera campitura verde.